Opera, Mobility, and Austrian Cultural Policies after the Congress of Vienna

Claudio Vellutini

Opera has traditionally been an art form on the move. However, the circumstances that lead political regimes to place operatic mobility at the core of their cultural agenda have been underexplored. This paper discusses some of these circumstances by focusing on the operatic politics promoted by the Austrian government on the wake of the Congress of Vienna. I will examine how Austrian high officials’ decision to facilitate the exchange of operatic repertories between Vienna and the main Italian operatic centers responded to two other different, but interrelated, issues. One was the rapid transformation of the urban environment in the major cities of the empire, with growing, multinational upper classes demanding more diversified cultural offerings. The other was financial: a more intense circulation of operas, composers, and performers allowed Court opera houses (like those in Vienna and in Milan) to save money. More importantly, documentary evidence suggests that Austrian political elites viewed a ramified cultural system as instrumental to the development of the empire into a transnational modern state, the power of which resided in its role as the guarantor of a newly established European order based on peace, diplomacy, and collaboration. In the end, considering Austrian operatic policies from this perspective offers a historiographical outlook on the history of early nineteenth-century opera that help us reassess traditional ‘national’ paradigms.

L’opera è solitamente un’arte in movimento. Tuttavia, le circostanze che hanno incoraggiato i regimi politici a porre tale mobilità al centro del loro programma culturale meritano un’indagine approfondita. Questa relazione ne discute alcune ponendo come oggetto d’indagine principale le politiche culturali austriache all’indomani del Congresso di Vienna. Esaminerò, in particolare, come la decisione di promuovere scambi operistici tra Vienna e i principali centri italiani scaturisse da due fenomeni interconnessi, ma distinti. Uno era la rapida trasformazione del contesto urbano delle principali città dell’impero asburgico. Tale trasformazione era caratterizzata da un’espansione e internazionalizzazione dei ceti dirigenti che spingevano la domanda di un’offerta culturale sempre più diversificata. L’altro fenomeno era puramente finanziario: una più intensa circolazione di opere, compositori e artisti tra i teatri di corte (tra cui, in particolar modo, quelli di Vienna e di Milano) permetteva un opportuno risparmio di risorse. Per di più, fonti documentarie sembrano indicare che un sistema culturale ramificato era visto come un mezzo per promuovere l’impero austriaco come uno stato moderno e transnazionale, garante di un nuovo ordine europeo basato sulla pace, diplomazia e cooperazione. In ultima analisi, questa indagine sulle politiche operistiche austriache vuole offrire un contributo alla storiografia dell’opera del primo Ottocento che permetta di riesaminare i tradizionali paradigmi ‘nazionali’ sotto una nuova luce.